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AlpiLink: il dialetto si conosce, e si salvaguarda, ascoltandolo

AlpiLink: il dialetto si conosce, e si salvaguarda, ascoltandolo

Fino al 2025, il progetto universitario raccoglierà nella più grande banca digitale mai realizzata i file audio di 18 parlate locali del Nord Italia

L’Italia è una sola, dalla cima della Testa Gemella Occidentale sul confine con l’Austria, situata 100 metri più a nord della Vetta d’Italia, tradizionalmente ritenuta il punto più settentrionale del nostro Paese, a punta Pesce Spada, che invece è quello più a sud, sull’isola di Lampedusa. E una sola è anche la sua lingua ufficiale: l’italiano.
Ciò non toglie che la complessa formazione dello Stato unitario e il forte senso identitario delle comunità locali abbiano contribuito a preservare ancor oggi una ricca varietà di idiomi, tra dialetti e lingue minoritarie, molto diversi tra loro nelle forme espressive, ma anche nella diffusione.

Un patrimonio di diversità

Chi conosce per esempio, al di fuori di Sauris, il “saurano”, parlato esclusivamente da circa metà degli attuali 400 residenti nel comune udinese? O il “mòcheno”, lingua di ceppo tedesco che sopravvive solo in 3 comuni del Trentino (Palù del Fersina, Fierozzo e Frassilongo)?
Un patrimonio di diversità che si è proposto di salvaguardare il progetto di ricerca di interesse nazionale “AlpiLinK – Lingue Alpine in contatto”, finanziato dal Ministero dell’Università e della Ricerca e sviluppato dalle Università di Verona (capofila dell’iniziativa), Trento, Bolzano, Torino e Valle d’Aosta.

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I file audio per far conoscere i dialetti

La metodologia scelta per raggiungere l’obiettivo è quella della creazione della più grande banca dati digitale mai realizzata, in cui saranno raccolti file audio accessibili a tutti, sul sito alpilink.it, a fini di studio, documentazione e ricerca sulle varietà linguistiche aventi rango di lingua minoritaria parlate ancor oggi nelle regioni del Nord Italia.

Un’inedita conservazione di preziose fonti orali

Sono state scelti 18 dialetti e lingue di origine germanica e romanza, alcuni molro diffuse come il veneto, il friulano, il trentino, il lombardo, il piemontese, il ladino e il francoprovenzale. Ma anche occitano, walser, cimbro, sappadino, timavese, tirolese, resiano, le già citate mòcheno e saurano, fino al tedesco e allo sloveno della Val Canale.
“La possibilità di studiare le lingue a partire dall’ascolto e dalla comparazione degli audio anziché su trascrizioni – spiega il coordinatore del progetto, il docente di Linguistica tedesca dell’Università di Verona Stefan Rabanus – sta aprendo prospettive importanti”. Tra i risultati, inoltre, c’è anche “la conservazione di fonti orali preziosissime che altrimenti rischierebbero di andare perse”.

Un progetto aperto

Una peculiarità del progetto è il coinvolgimento dei cittadini “dal basso”, utilizzando una piattaforma crowdsourcing.
Ognuno, registrandosi, può infatti fornire il proprio contributo, inviando semplicemente attraverso lo stesso sito il proprio file audio in cui, in dialetto, descrivendo la scena proposta o traducendo le espressioni e le parole indicate.

La mappa geografica interattiva

Gli audio saranno poi accessibili attraverso una mappa geografica interattiva, che collega i file alle rispettive località di origine.

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Al 31 dicembre 2023, le registrazioni raccolte, già disponibili online sono ben 201 mila, grazie al contributo di 1.731 persone. Ma è previsto che il percorso prosegua ancora fino al 2025, coinvolgendo anche scuole ed enti locali.
In tal senso, sono previsti per esempio percorsi di formazione rivolti ai docenti e incontri con i ragazzi nelle classi delle secondarie di secondo grado. Finora, a essere coinvolte, sono state 23 scuole, per un totale di 559 studenti e 79 insegnanti. Così come sono 26 i ricercatori dei 5 atenei che svolgono attività di raccolta e divulgazione.

Si fa presto a dire “ragazza”

Nell’ottica della valorizzazione delle minoranze linguistiche, il materiale raccolto sarà inoltre rielaborato ai fini di un utilizzo anche a scopo didattico. Un esempio simpatico è la mappa creata da Rabanus per illustrare i diversi modi di esprimere il concetto di “ragazza” nelle lingue e nei dialetti locali del Nord-Est.

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A Padova, Treviso e Vicenza, così, si usa “tosa”, a Verona “putela”, a Venezia “fiola”, a Belluno “mula”, in ladino “pizzola”. Ancora, senza una precisa connotazione territoriale, “ragasa” o “ragaseta”: diminutivo, quest’ultimo, che si alterna spesso con “tosata”, “tosatela”, “tosatiela”, mentre nel Veronese è diffuso “buteleta”.
Spostandoci di regione, in Alto Adige prevale “madl” o “madele”, ma a Bolzano città e nelle aree orientali si trova anche “gitsche”. L’influsso del tedesco medievale si riscontra anche in alcune zone del Trentino, dell’Alto Vicentino e del Friuli con “diern”.

L’uso della terza persona e il suono della “s”

Ma le curiosità, all’interno del sito, sono molte.
Per esempio, l’utilizzo del soggetto pronominale nella terza persona plurale, in italiano, spesso non viene indicato. Siamo infatti abituati a dire, per esempio, “tornano”, non “essi tornano”.
In quasi tutti i dialetti e lingue minoritarie, invece, è invece sempre espresso. “I torna” si dice così in Veneto.

AlpiLinK si occupa così anche di analisi comparative dei dati raccolti, sulla base del fatto che lo studio linguistico delle varie caratteristiche di una lingua può fornire informazioni anche sulla storia, la cultura e la struttura sociale di un luogo. Un esempio di questo riportato dal sito è la diversa pronuncia della lettera “s” in Trentino Alto Adige e in Veneto.

Nei dialetti tirolesi, la pronuncia della “s” dipende dalla sua posizione all’interno della parola e dal suono che la segue. La cosiddetta “retrazione della s”, molto diffusa nelle varietà germaniche, non è presente nelle lingue romanze, come i dialetti veneti e trentini, con l‘eccezione del ladino. In quello gardenese, la distribuzione dei suoni è per esempio molto simile ai dialetti tirolesi, probabilmente per gli effetti dei contatti linguistici nel corso dei secoli.

Alberto Minazzi

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