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City green: l'agronomo Tosato e il green-making di Venezia

City green: l'agronomo Tosato e il green-making di Venezia
Labirinto Borges, ph. Matteo De Fina, Courtesy of Fondazione Cini

Dal Labirinto Borges ai Giardini della Biennale al verde pubblico. Intervista all’agronomo che combatte contro il cuneo salino

Stanley Kubrick, in una memorabile ripresa aerea sul labirinto dell’Overlook Hotel, nel film The Shining, ci offre una panoramica di quel “maze” capace di mettere definitivamente all’angolo e condannare Jack Torrance-Jack Nicholson.
«Qui nessuna fuga dal male, nessuna perdita dell’orientamento. Solo un piacevole passeggiare “sfogliando” la memoria e la simbologia del grande scrittore argentino».
Marco Tosato, agronomo, ci accoglie all’entrata del labirinto Jorge Luis Borges, nel parco della Fondazione Cini (che ha cortesemente autorizzato tutte le foto che illustrano quest’articolo, ndr) nell’isola di San Giorgio maggiore, a Venezia. E subito precisa: «Questo è un labyrinth, non un maze come quello del film di Kubrick. O come quello di villa Pisani a Stra o quello di Valsanzibio. In quelli ci si perde davvero, sono realizzati per perdersi. Un labirinto è ludico, vi si passeggia e si conversa».

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L’agronomo Marco Tosato

Dall’Algeria a Venezia

Tosato è arrivato al Borges partendo da lontano.
Dall’Algeria, per la precisione. In un’area del nord del Paese mediterraneo, caratterizzata da dune e vegetazione, progettò un piano di ripristino ambientale di una stazione di pompaggio e del collegato gasdotto che va alla costa algerina per poi dirigersi verso la Sardegna. Era il 2008. L’anno dopo, un altro progetto di mitigazione ambientale a Rosignano per un impianto della multinazionale francese Solvay.
Oggi, gran parte della sua attività Tosato la svolge a Venezia, tra l’Arsenale, i giardini della Biennale, la Fondazione Cini, il quartiere della Mostra del Cinema al Lido.

A Venezia il green-making: un sostanziale cambio di mentalità

Tutti fanno a gara per partecipare al nuovo, grande business del verde ma i suoi committenti non hanno semplicemente indossato la facile casacca del “green-washing”: enti e organizzazioni per cui lavora hanno consapevolmente abbracciato quello che potremmo chiamare il “green-making“.
«Effettivamente è un cambio di mentalità profondo e non solo un’etichetta – precisa l’agronomo -. Se poi caliamo tutto questo in una realtà come Venezia, si capisce come il valore aggiunto di una scelta di questo tipo significhi molto per questa città letteralmente immersa nell’acqua e pertanto caratterizzata da dinamiche ambientali direi uniche e certamente non semplici. Anche scientificamente».
È la ragione per cui lo incontriamo proprio al labirinto intitolato a Borges “regalato” dalla sua vedova, Maria Kodama.
«Proprio in questi anni ho potuto apprezzare il cambiamento di mentalità e di sensibilità non solo dei soggetti pubblici o di enti privati, ma anche dei cittadini, della gente. Con alcune distinzioni», dice Tosato.

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Courtesy of Fondazione Cini

Questione di Nimby

Che non nasconde difficoltà, anche nel proprio campo “ambientale” che alla fine rallentano, ritardano, bloccano molte iniziative, anche le più premianti, come può essere una politica attenta e consapevole del Verde. «È la famigerata sindrome-nimby ovvero Not in my backyard, non a casa mia. Per questo voglio sempre che l’opinione pubblica sia informata e vengano spiegati con chiarezza i vari interventi studiati dopo precise valutazioni. Questo è ancora più vero e importante per la manutenzione».
Nel Nord Europa la manutenzione del verde pubblico è pratica consueta e normalissima, spiega Tosato che aggiunge «Nella città di Parigi, un’area estesissima, quando un albero viene messo a dimora ha già la sua data di prevedibile abbattimento e della sua sostituzione. Un albero magari morto e quindi pericoloso per l’incolumità va abbattuto e non ha senso fare una guerra per tenerlo in piedi con innegabili rischi per tutti». Parola di agronomo.

La città metropolitana di Venezia II^ in Italia per nuovi alberi piantati

Un uomo del Verde che plaude per il piazzamento al secondo posto in Italia di Venezia, intesa come città metropolitana, per numero di alberi nuovi messi a dimora fra il 2022 e i primi mesi del 2023, secondo l’Atlante delle Foreste di Legambiente.
«È un traguardo importante che fa ben sperare per il futuro che è poi la prospettiva temporale entro cui si muove il nostro lavoro perché è il tempo degli alberi, delle piante. Orizzonte temporale e miglioramento dell’Ambiente».
E cita Jeremy Rifkin, nella sua analisi di Verde sostenibile e da sostenere consapevolmente. «L’economista americano – spiega – entra anche nella realtà di un altro tipo di foreste, quelle eoliche che per esempio hanno invaso l’Europa settentrionale non solo sulla terra».
Non è il mio settore, ammette, ma non ha dubbi: «Preferirei una foresta di alberi veri molto più efficaci, longevi e realmente ecocompatibili che non quelle torri ormai altissime con ciclopica estensione delle pale ed esteticamente dannosissime. Quindi, il risultato ottenuto con il “nuovo verde” nella città metropolitana è senz’altro una bellissima notizia».

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“Una pianta vetusta non assorbe più o in minima parte CO2”

Ciò assume un valore ancora maggiore laddove si consideri, fa notare, che il patrimonio verde in Italia è per lo più risalente al secondo dopoguerra.
«Tutto questo complica le cose perché questo verde ha settanta, ottanta anni. Alcune piante sono anche più vecchie. Un verde pubblico con quest’età non solo è molto complesso da gestire ma anche molto costoso per le amministrazioni a causa dei continui e profondi interventi. Prendiamo il parco storico della Biennale di Venezia: ci sono fusti non coerenti con l’ambiente lagunare e vecchi di 200 anni. Significa spese e rischi. D’accordo, è un parco appunto storico. Ma ci sono città con viali alberati con piante ultraottuagenarie. Non ha senso. Non solo per le casse comunali: una pianta vetusta non assorbe più o in minima parte CO2, in quanto la sua funzione primaria si è conclusa. Anche questo va spiegato alle persone».

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“Le piante non funzionano a regolamenti o carte bollate”

Diametralmente opposto il discorso per una pianta, un albero giovane, messo a dimora di recente che svolgerà il suo ruolo di assorbimento degli inquinanti in maniera completa ed efficace nell’arco almeno dei successivi dieci anni. Considerando poi che Venezia presenta altre particolarità.
«Il microclima nella città storica, addirittura nelle singole isole come Sacca Sessola o Sant’Erasmo ne fanno un’area molto speciale. Quanti sanno che vivono piante di capperi in laguna, chiaro indicatore della specificità dell’ambiente lagunare e insulare rispetto la terraferma? Una realtà che anche in sede di sostituzione talvolta si scontra con soggetti preposti alla salvaguardia. Ma le piante non funzionano a regolamenti o carte bollate» e così, lascia intendere Tosato, possono sorgere incomprensioni e ostacoli che confliggono con le caratteristiche ambientali e ora anche con il cambiamento climatico.

I Giardini della Biennale di Venezia @ Andrea Avezzu

“Una città più verde porta a un indubbio miglioramento della vita”

«Il risultato sancito dal recente rapporto dell’Atlante delle Foreste premia Venezia che ha un’amministrazione attenta alla questione ambientale e al Verde. I problemi sorgono nei comuni più piccoli che per esempio dirottano le risorse verso altre voci di spesa».
Chi ne risente è poi la comunità, i cittadini.
«Ovvio, con il mio mestiere rischio di non essere obiettivo, ma posso assicurare che una città più verde porta a un indubbio miglioramento della vita non solo in termini fisici ma anche di benessere psicologico».

Labirinto Borges: lo tutela un piano di gestione pluriennale

Allora, visto che ci troviamo all’interno del Parco della Fondazione Cini chiediamo: può essere considerato questo un esempio di microuniverso verde per diversificazione e caratteristiche?
«Quello che oggi è un parco di 4 ettari nasce nel 1951 come giardino, ovvero area verde ad alta manutenzione, tanto è vero che solo Cini poteva permetterselo. Con gli anni questa manutenzione si era diradata e il degrado ha avuto il sopravvento: una “giungla”. Per la sistemazione ho realizzato un piano di gestione pluriennale e si è partiti nel 2008 con interventi mirati per singole sezioni del parco».

A Venezia, il problema del  cuneo salino e il processo di osmosi inversa

Quattro ettari da tutelare e valorizzare.
«Con un nemico implacabile: il cuneo salino, fenomeno ben presente nella laguna di Venezia e certamente nell’isola di San Giorgio. Un esempio sono i danni al chiostro in occasione dei 187 centimetri dell’acqua alta del novembre 2019. Le piante soffrono di più e risentono pure del diradarsi delle precipitazioni e la conseguente ricerca dell’acqua di falda, che però a Venezia è salina e si innesca così un processo di osmosi inversa».
Che nel 2021 ha portato alla morte di una quindicina di alberi. Più in generale, le piante si indeboliscono e così non riescono a isolare e neutralizzare le infezioni che le colpiscono. Una delle più tipiche criticità, non solo a Venezia.

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Courtesy of Fondazione Cini

Le piante e i cambiamenti climatici

«Penso che le piante cambieranno per rispondere agli stress indotti dal climate change. L’arco temporale è lungo, molti anni, ma ci sarà un cambio di vegetazione. Una tropicalizzazione o comunque l’imporsi di piante più adatte al nuovo clima e anche alle fluttuazioni termiche repentine e frequenti».
Che hanno messo in sofferenza anche il Labirinto Borges. Malato pur se nascosto e curatissimo: cambiamento climatico, cuneo salino, caratteristiche del microclima lagunare, ristagno idrico? Quale la ragione?

Labirinto Borges: “ne godremo ancora a lungo”

«Il Borges è un sistema molto delicato e particolare, ma effettivamente dal 2011 al 2021 non si erano registrate vere criticità. Da due anni riscontriamo questo problema che potrebbe essere causato dalle temperature troppo elevate aggravatesi nella scorsa estate».
Inchiesta in corso  e responsabile tuttora sconosciuto?
«Usando una metafora da film noir è proprio così. Con la singolarità che la morte delle piante è molto localizzata con punti specifici e non investe tutto l’insieme. Non si spiega perché abbiamo gruppi di piante morte e tutto attorno sembra non esserci alcun segno di sofferenza».
Ma la soluzione alla fine del giallo è già pronta, avverte Tosato, e sta nella stessa concezione del Labirinto Borges, ovvero la sua modularità pensata perché le piante possano essere sostituite in qualsiasi momento.
«Questo è un labirinto realizzato anche sulla scorta di una ricerca storica delle civiltà mediterranee, la sua forza è antica e la sua resilienza va oltre l’intervento umano e ne godremo ancora a lungo».

Agostino Buda

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