L’allarme di Legambiente che avanza le sue proposte per una transizione ecologica della risorsa idrica
Allagamenti, esondazioni, grandinate, siccità prolungata, piogge intense.
Eventi meteo estremi fonte di danni, con cui l’Italia sta purtroppo sempre più dovendo fare i conti, che hanno un denominatore comune: l’acqua. E, sottolinea un report di Legambiente presentato in occasione del V “Forum Acqua”, dal 2010 ad agosto 2023 proprio questo elemento è stata protagonista del 67% di queste conseguenze legate ai cambiamenti climatici.
La transizione ecologica dell’acqua
“La transizione ecologica dell’acqua”, non a caso, è proprio il titolo del Forum. Un tema riguardo al quale l’associazione ambientalista ha indirizzato ai 4 commissari straordinari le sue proposte. “Serve una strategia integrata – scrive Legambiente – basata su conoscenza, qualità e integrazione per accelerare la transizione ecologica della risorsa idrica, rendendo sempre più sostenibile la nostra impronta idrica sulla Terra e per assicurare un corretto adattamento alla crisi climatica”.
Gli eventi meteo estremi in Italia
Il punto di partenza sono proprio i dati del rapporto. Nel periodo preso in considerazione, su 1.855 eventi meteorologici estremi si sono verificati 667 allagamenti, 163 esondazioni fluviali, 133 danni alle infrastrutture da piogge intense, 120 danni da grandinate, 85 frane da piogge intense, 83 danni da siccità prolungata.
Le regioni più colpite dal 2010 allo scorso agosto sono state Sicilia e Lombardia, con 146 eventi, seguite dall’Emilia Romagna a quota 120.
Quanto alle città, prima Roma (65 eventi) poi Milano (32), Agrigento e Bari (entrambe 24), Genova (20), Palermo e Napoli (17 ciascuna).
L’analisi di Legambiente
Il tutto, aggiunge Legambiente, va inserito nel contesto di un territorio fragile, esposto in gran parte al rischio di frane e alluvioni. Inoltre, si sottolinea, in Italia spesso la qualità dell’acqua non è delle migliori. In tal senso, la maladepurazione è un “problema cronico”, costato fino ad oggi al nostro Paese oltre 142 milioni di euro in sanzioni pecuniarie, oltre all’inquinamento chimico di fiumi e falde.
Il nostro Paese, prosegue l’analisi del report, paga nella gestione dell’acqua ritardi che si sono via via accumulati “anche a causa di un approccio sbagliato”. Sotto accusa, in tal senso, finisce l’abitudine a considerare i diversi usi della risorsa idrica “separati l’uno dall’altro, invece che farli dialogare tra di loro, puntando solo sulla quantità senza considerare la qualità della risorsa”.
Le proposte e gli obiettivi
“Occorre cambiare – ha dunque dichiarato il presidente di Legambiente, Stefano Ciafani – l’approccio di gestione della risorsa idrica passando da una gestione lineare a una circolare e a un approccio sempre più integrato, che intervenga sui diversi utilizzi della risorsa e sulla razionalizzazione dell’intero ciclo di vita dell’acqua, anche nella sua impronta ‘invisibile’. È questa la vera sfida su cui il nostro Paese deve lavorare”.
Concetti che, per Legambiente, si traducono in 3 grandi macro-interventi: la definizione di una cabina di regia e una governance unica e integrata dell’acqua; la continua conoscenza e aggiornamento dei dati a oggi disponibili sulla risorsa; una progettazione integrata e di qualità per pianificare gli usi della risorsa e del territorio.
Gli interventi nei vari settori
Sul piano concreto, la strategia di Legambiente sul fronte siccità è così quella di “puntare su un approccio integrato e su una forte diversificazione delle azioni, ricorrendo ove possibile a soluzioni basate sulla natura”. Quanto al settore del dissesto idrogeologico, “occorre dare un ruolo centrale alle autorità di distretto”. Per la maladepurazione, infine, “occorre completare i lavori della rete impiantisca e prevedere più risorse”.
Sul tema è intervenuto anche Filippo Brandolini, presidente di Utilitalia, la federazione che riunisce le aziende speciali operanti nei servizi pubblici del settore. “Dal 2012 ad oggi – ha ricordato – gli investimenti nel settore idrico sono aumentati del 227%, raggiungendo i 4 miliardi annui e i 56 euro per abitante. Ma il gap con la media europea di 100 euro annui per abitante resta ampio, soprattutto nei territori nei quali non operano soggetti industriali”.
Alberto Minazzi