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Le donne non sono prede

Le donne non sono prede

Dalla cultura dello stupro alla cultura dello stupro. Quando le cose non cambiano. E il corpo femminile diventa sempre più oggetto sessuale

Pensavamo che la cultura dello stupro -in coppia, all’interno delle famiglie, di gruppo – si sgretolasse sotto la bandiera dell’emancipazione.
Pensavamo che il corpo femminile cessasse alla fine di essere considerato un mero oggetto sessuale e la donna preda di triviali battute di caccia.
Erano gli anni Settanta quando il concetto di “rape culture” fu coniato: una cultura che banalizza e a volte giustifica, un atto feroce, frutto di una mentalità primitiva, nei confronti delle donne.
Mezzo secolo dopo, si torna indietro.
Con corpi di giovani donne violati tra sterili dibattiti e incaute battute. E la rape culture, la banalizzazione dello stupro, che incalza. Di nuovo.
Un fenomeno che va di pari passo con il ritorno del Body culture sexual object che naviga da un cellulare all’altro, privando i corpi esposti di anima, sensibilità, intelligenza, cuore.

“Essere donna non significa essere preda”

“Dal punto di vista etologico – dice la ginecologa e sessuologa Alessandra Graziottin – i corpi di maschi e femmine hanno un programma di riproduzione e la loro lettura sessuale fa parte della programmazione di base da millenni. Questo però non autorizza assolutamente il passaggio successivo, cioè la predatorietà. Il passaggio attraverso il consenso è il punto dove si fa la civiltà. Essere donna non significa automaticamente essere preda”.
Si parla di civiltà. Ma la battaglia portata avanti per decenni al fine di superare l’idea del corpo femminile come oggetto sessuale è ben lontana dal centrare l’obiettivo.

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È tutt’altro che incoraggiante, in questa prospettiva, il quadro dipinto dall’indagine condotta da Yoodata/Polytech Italia, che ha interpellato un campione di 1.009 persone tra i 15 e i 70 anni sul tema della rappresentazione del corpo femminile.
Per il 73% degli intervistati, infatti, “nulla è cambiato rispetto al passato”. E la percentuale di chi ritiene che le donne siano sempre più vittime dell’esposizione mediatica sale all’80% tra la Gen Z. Insomma: secondo il 63% delle donne e il 57% degli uomini non sono finora bastate per cambiare la mentalità comune né le battaglie del neofemminismo, né le vicende del MeToo.

L’esposizione del corpo e la fragilità della Generazione Z

Del resto, se il 79% del campione riscontra tra le donne maggior consapevolezza del proprio corpo e più libertà anche di esporlo, al tempo stesso ritiene che ciò avvenga principalmente come un richiamo di natura sessuale.
E sono spesso proprio le giovanissime, nella loro fragilità, a far propria questa pratica.
Il 76% delle donne intervistate ha dichiarato di usare il proprio corpo come arma di seduzione e di rincorrere, anche con interventi estetici, la “perfezione”.

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“Come confermano altri studi e la mia attività clinica – sottolinea la ginecologa e sessuologa Alessandra Graziottin – più si è giovani, più si è fragili e maggiore è l’insicurezza sull’immagine di sé, per un modello di perfezione spesso iper ritoccato proprio dai social e dall’impatto degli influencer. Gli interventi estetici vengono visti come il mezzo per rendere il corpo più conforme possibile all’ideale di io trasmesso in questo modo. Si tratta – prosegue Graziottin – di un elemento gravissimo di vulnerabilità, perché significa sottoporsi a modifiche del corpo con rischi ed effetti collaterali, ma anche con il paradosso di dire di essere uniche, ma poi adeguarsi al conformismo. Basti pensare alla domanda crescente di modifiche genitali da parte di ragazze assolutamente normali, ma con sporgenze non conformi all’immagine stereotipata di bellezza femminile”.
Va detto però anche che, con l’avanzare degli anni, il rapporto con il proprio corpo migliora, tanto che il 70% del campione femminile di boomer (le over 50) considera i canoni estetici solo come una gabbia.

“L’uso dei corpi: marketing puro”

“Il corpo – commenta il sociologo Paolo Crepet  – è sessuale, non c’è niente di male. Il problema c’è quando questo non è accompagnato da un erotismo più complesso. Se, per esempio, Only Fans è un fenomeno diventato addirittura un lavoro per ragazzi e ragazze, sarebbe ingenuo stupirsi. C’è un meccanismo di accettazione sociale e culturale di un corpo che diventa merce, senza necessariamente comprendere l’atto sessuale. L’evoluzione del mercato – aggiunge – di per sé non è negativa, ovviamente stando all’interno delle regole. Lo scandalo è che tutto questo non è sexy, è noioso. Tutto è banalizzato, prevedibile, ripetuto. Anche gli ideali estetici portati avanti sui social e dagli influencer sono marketing puro, un cliché, un’adesione all’omologazione che passa anche attraverso la chirurgia”.

La parità di genere passa attraverso il rispetto

Che il corpo venga esibito o no, (anche negli anni Settanta le donne scoprirono le gambe facendo della minigonna uno strumento della loro lotta per l’emancipazione) poco cambia se non cambia la mentalità comune. Come rileva uno studio Istat del 2019, una persona su 4 in Italia ritiene che un abbigliamento succinto possa scatenare una violenza sessuale.
Ma non  può esserci corresponsabilità nello stupro: ci sono sempre una vittima e uno (o più) colpevoli.

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