Un gruppo di 5 speleologi friulani e veneti si addentra in una grotta, potenziale posizione strategica verso la sorgente
“Prendete il colore dello smeraldo, quello delle turchesi, quelli dei berilli, gettateli in un bagno di lapislazzoli, in modo che tutto si fonda e ad un tempo conservi l’originalità sua propria, ed avrete quella porzione di cielo liquido che si chiama il Gorgazzo”.
In poche, liriche parole, il sonetto composto nel 1877 dal geografo Giovanni Marinelli, ricordato oggi in una lapide posta nei pressi del laghetto, riesce quasi come farebbe una pennellata di un pittore a descrivere il Gorgazzo, chiamato anche “El Buso” nel locale dialetto pordenonese.
La grotta misteriosa
Ovvero la grotta subacquea, nei pressi di Polcenigo, ai piedi del massiccio del Cansiglio, da cui scaturisce il breve e omonimo torrente che confluisce nel fiume Livenza dopo meno di 2 km dalla propria sorgente.
Un sito che, milioni di anni fa, era caratterizzato dalla presenza di una barriera corallina, che oggi si traduce nella presenza di numerosi fossili, già a partire dai 42 metri di profondità.
Si tratta di una risorgiva d’acqua relativamente piccola ma estremamente profonda (non a caso prende il nome dal termine friulano “gorc”, cioè “abisso”) e contraddistinta da colori da sogno, che sfumano dall’azzurro superficiale, al verde, fino al nero delle profondità. Una colorazione unica, che muta anche in base ai cambi di luce, che ha ispirato numerosi pittori, a partire da Luigi Nono, che immortalò il laghetto nel suo dipinto del 1872 chiamato proprio “Le sorgenti del Gorgazzo”.
Un mistero per il quale molti hanno perso la vita
Ma non solo gli artisti, nel corso della storia, sono stati affascinati dal “Buso”.
Anche perché l’origine del Gorgazzo nelle viscere della terra rimane tutta da scoprire.
Una sfida in nome della quale, tra il 1980 e il 1996, ben 9 speleologi, anche esperti, hanno perso la vita nella ricerca della fonte dell’acqua.
I loro nomi sono ricordati in una lapide posizionata sulle sponde del laghetto. E, in loro memoria, è stata anche posizionata a 9 metri di profondità, nei pressi dell’imboccatura della cavità, una statua in ferro del Cristo, visibile da riva grazie proprio alla limpidezza delle acque, che sgorgano a 10 metri cubi al secondo, con una temperatura media di 10,8 gradi.
La spedizione friulana e veneta
A indagare sull’ultra secolare mistero della sorgente del Gorgazzo, con l’obiettivo comune di trovare un possibile collegamento tra le rocce, sono da un lato gli speleosub, che vi approcciano dall’acqua, dall’altro gli speleologi, che invece affrontano la questione dal lato terra.
Una spedizione di 5 speleologi friulani e veneti ha fatto di recente un passo avanti in un cammino di ricerca che, in ogni caso, richiederà ancora anni di lavoro. Nella speranza di ottenere un risultato possibile ma ancora tutt’altro che sicuro. Tanto più che, paragonando il gorgazzo a un tubo di scarico del lavandino, ancora non è stato individuato il punto in cui curva e inizia la sua risalita.
“5 agosto 2023. Dopo 15 anni di ricerche e 5 anni di scavo ininterrotti cominciamo a scendere pozzi lungo un grande attivo. Sono circa 1400 i metri di dislivello che ci separano dal Gorgazzo” scrive in un post su Facebook il punto di riferimento della spedizione del Gruppo Speleologico Sacile. Che, insieme al video allegato in cui viene stappata nelle profondità della terra una bottiglia di spumante per festeggiare l’apertura di Buselonghe, conclude con un incitamento: “Abbiamo sfondato in Buselonghe, abbiamo sfondato in Prà del Biser!!! Al Gorgazzo!”.
Una profondità finora accertata di 222 metri
L’esplorazione, iniziata nell’ultimo fine settimana di luglio, attraverso la violazione di questo passaggio ha portato alla scoperta di nuovi pozzi e gallerie finora sconosciuti, da cui proseguire. Come sottolinea la geologa e speleologa Barbara Grillo, la strada è però ancora lunga.
Basti pensare che la cavità di Buselonghe, conosciuta da molti anni, si apre a 1400 metri sul livello del mare, mentre il Gorgazzo è a 50, con una profondità finora accertata di 222 metri.
Un risultato fermo al 2019, quando lo ottenne lo speleosub polacco Krzysztof Starnawski che batté il record di -212 toccato dallo speleonauta Luigi Casati nel 2008 e realizzò la prima mappa in 3 dimensioni della cavità.
Le esplorazioni si sono concentrate su Buselonghe
Se si considera che la grotta è profonda un centinaio di metri, con un rapido calcolo si capisce che ancora da scavare c’è ben oltre un km, seguendo le vie d’acqua passate e attuali per arrivare al livello di base, cioè quello della falda acquifera rappresentato dal Gorgazzo, uno dei punti di emersione dell’acquifero del Cansiglio.
Ed è solo parziale la consolazione legata al fatto che quantomeno, considerando le caratteristiche del Cansiglio, montagna interamente composta di calcare, la parte carsificabile, cioè corrodibile, è composta di questo materiale. “Il passaggio trovato dagli speleologi – spiega Grillo – è promettente perché va in direzione delle sorgenti del Gorgazzo ed è poco distante in linea d’aria. Ed è proprio per questo che le esplorazioni si sono concentrate su Buselonghe”.
“Il fatto che la posizione sia potenzialmente strategica per un collegamento con il sistema di sorgenti di Polcenigo e del Gorgazzo in particolare – prosegue la speleologa – arricchisce la documentazione del territorio e apre nuove prospettive, per quanto non semplici, di individuare il collegamento. Ma al riguardo non c’è ancora nessuna certezza”. E vi sono anche limiti oggettivi da tenere in conto.
Un reticolo profondo che sfida i limiti umani
“L’uomo – conferma Barbara Grillo – sotto acqua fa fatica a superare i 250 metri di profondità. Ma i limiti umani, al Gorgazzo, non sono superabili nemmeno con l’attuale tecnica dei droni, in quanto è pieno di curve ed estremamente complesso. Non si tratta infatti di un “tubo” dritto, ma fa parte di un reticolo che raccoglie acque da più rami secondari”.
Il Gorgazzo, non a caso, è tanto affascinante quanto rischioso.
Fin dai primi anni Ottanta del secolo scorso, sono state molte le immersioni degli speleosub, che, dal 1984, quando si era cominciata a diffondere la conoscenza del mistero del Gorgazzo ben oltre i confini locali, avevano iniziato a darsi ritrovo proprio nel lago pordenonese.
Un conto pesante in termini di vite umane
Le troppe morti hanno portato, nel 1996, al divieto di immersione deciso nel 1996.
La conformazione del “Buso” è infatti tale che il sifone, via via sempre più stretto con l’aumento della profondità, a circa -60 metri si suddivide in vari cunicoli, con anche forti correnti interne.
Così, chi non ha scelto di rinunciare all’impresa dopo qualche tentativo fallito ha messo a rischio, e in molti casi perso, la propria vita rimanendo incastrato tra le rocce o subendo gli effetti della narcosi da azoto, legata alla profondità, che si dice li abbia portati addirittura a togliersi le maschere e i respiratori, con conseguente morte per annegamento.
Nuove immersioni. Ma regolamentate
Il Gorgazzo ha sempre restituito le sue vittime, ma fino al 2014 è rimasto in vigore il divieto di immersione, restando comunque aperto per l’addestramento.
Negli ultimi 10 anni è stata ridata la possibilità ai subacquei più esperti di farlo, rispettando il regolamento stilato dal Centro Pordenonese Sommozzatori, che proprio per la riapertura ha collaborato fattivamente, in particolare con il suo presidente Roberto Battiston, sia col Comune che con la Protezione civile, il Soccorso alpino speleosubacqueo e i Vigili del Fuoco. Tant’è che, di recente, il Gorgazzo è diventato anche palestra nazionale del nuovo nucleo speleo-subacqueo proprio dei Vigili del Fuoco.
Alberto Minazzi