In Giappone, il croccante snack è amatissimo. Ma rincari e poca disponibilità di materia prima stanno mettendo in crisi il settore
Se non state leggendo questo articolo da Tokyo o Kobe, nessun problema: vi garantiamo noi che, in Giappone, le patatine non solo sono aromatizzate al cheddar cheese, al sale marino o magari al guacamole. Ne trovate pure che hanno il gusto di soja (quasi banale nel Far East) o alla pizza ai quattro formaggi, per tacere di altri gusti abbastanza incredibili per noi.
E siccome i consumi sono pari a parecchie tonnellate e la materia prima, ovvero le patate, scarseggia, accontentare la fame compulsiva di patatine e snack di tutti i giapponesi sta diventando sempre più difficile.
La crisi delle patatine giapponesi
Lo sanno bene le aziende produttrici che da almeno un biennio sono alle prese con una vera crisi non solo per il reperimento di patate, ma anche per l’impennata dei costi lungo tutta la catena agricolo-industriale. I problemi si sono moltiplicati con la pandemia di Covid-19, particolarmente cruenta in Giappone, che ha successivamente innescato il rallentamento nella catena logistica per le materie prime. Le patate non hanno fatto eccezione e se non arrivano le patate non si producono le patatine. Semplice, vero?
Poi è scoppiata la guerra in Ucraina con quest’ultimo Paese grande produttore di patate e soia, il cui olio è ingrediente essenziale per le croccanti patatine confezionate in multicolori sacchetti che sembrano usciti da un cartoon manga. In realtà, l’Ucraina non è un grande fornitore per l’industria giapponese delle patatine; piuttosto lo sono gli Stati Uniti, ma anche lì i prezzi sono saliti alle stelle come in genere per tutti i prodotti agroalimentari (e non solo) a livello mondiale.
Il “caro-patatina” nel Sol Levante
Morale: il business miliardario in Giappone va in affanno e diventa un caso di cui si è interessata anche la Cnn. Anche perché i prezzi di un pacchetto di agognate patatine per lo stressato travet del Sol Levante, tutto lavoro-e-lavoro, hanno cominciato a lievitare sempre di più. Infatti, non bastavano la pandemia e la guerra: a complicare le cose ci si è messo pure il cambiamento climatico, con ondate di caldo equatoriale e repentine tempeste di pioggia e grandine e basse temperature praticamente a qualsiasi latitudine.
Così, anche uno dei maggiori produttori nipponici di patatine, per fare fronte ai costi crescenti, nell’arco di appena 12 mesi ha dovuto rivedere all’insù il prezzo dei suoi pacchetti, non una, non 2, bensì 3 volte.
Nei minimarket (che sono i più frequentati per la comodità e rapidità sebbene siano più cari dei centri commerciali) un sacchetto piccolo costa ora 130 yen (all’incirca 80 centesimi di euro). Apriti cielo.
Giapponesi in “crisi di astinenza” da patate
Per ora non si segnalano raffiche di suicidi, altra moda a cui, ahinoi, i sudditi dell’imperatore nipponico sono purtroppo abituati. Tuttavia vedere che gli yen non bastano mai per un semplice pacchettino di patatine non facilita la loro vita. C’è da dire che in realtà nelle patatine da sgranocchiare magari nelle festicciole o nei chioschi (mai per “ammazzare le attese” o aspettando il treno: impossibile, in Giappone, visto che i treni sono sempre e tutti in orario) di vere patate ce ne sono pochine.
«Lo snack più diffuso e richiesto a base di patate qui sono le jiagariko: dei bastoncini di patate fritti e insaporiti con diversi gusti» racconta da Tokyo al Metropolitano.it Arianna Lancedelli, giovane italiana che lavora nella capitale giapponese. Altrimenti «nella maggioranza dei casi si tratta di onigiri: bocconcini di riso con all’interno diversi condimenti. Un po’ come gli arancini italiani, ma non fritti» precisa Arianna.
Le strategie economiche per salvare le patatine
Conti che non tornano anche per le aziende, in alcuni casi costrette a rivedere o ritardare piani economici di espansione anche all’estero per effetto della caduta di fatturati e utili. C’è chi ha fatto appello allo spirito di patria e al tradizionale, solido nazionalismo giapponese per convincere i coltivatori locali ad aumentare la produzione interna. Insomma, patate a km zero per salvare la patria e i suoi gusti. Nel contempo si sono rarefatte le promozioni e i “3×2”, così come l’introduzione di nuove specialità o sapori. Il tutto per compensare gli aumentati costi per la materia prima e per la logistica.
Che comunque resta una voce determinante nel settore alimentare nipponico in quanto, secondo i dati di Euromonitor International, il Paese dipende largamente dalle importazioni, con una quota superiore al 56% proveniente dall’estero a fronte di una domanda interna che si attesta oltre i 18 miliardi di dollari. Naturalmente non si tratta di sole patate, destinate in una consistente porzione a essere trasformate in patatine, vendute nei supermarket o nei chioschi vicino alle stazioni ferroviarie dove transitano milioni di pendolari.
Nuvolette e patate dolci
Ma provate voi a privare delle patatine i giapponesi. Il rischio di un vero e proprio shock culturale ed esistenziale è sicuramente da mettere in conto. Ma c’è un piano B, ci racconta Arianna: «Le preferenze allora si spostano su quelle che noi chiamiamo nuvolette o fiocchi: poca patata e più soia con impasto di gamberi o riso».
Oppure si corre al supermercato per comperarsi un tipo di patate americane, ma molto più dolci. Sono vendute anche “appena sfornate”. Ma anche qui i prezzi sono in salita: dai 300 yen in su, in base alla grandezza. In Italia, ha fatto storia una pubblicità di un liquore, peraltro made in Veneto, che nel suo jingle recitava “contro il logorio della vita moderna”. In Giappone, contro il logorio della vita moderna ci sta bene anche una patatina.
Agostino Buda