Si celebra in rete la Giornata dell’Unità Nazionale e delle Forze Armate
4 novembre 1918.
Il generale Armando Diaz, Capo di Stato Maggiore dell’Esercito italiano, comunica alla nazione che “la guerra contro l’Austria-Ungheria […] iniziata il 24 maggio 1915 […] è vinta”.
Termina un conflitto durato 41 mesi e capace di sconvolgere l’Italia e il nostro territorio, diventato dopo Caporetto sia prima linea che immediata retrovia del fronte.
Il 4 novembre 1918 Trento e Trieste diventano italiane.
Celebrazioni in rete: iniziative e staffette
Quest’anno, a causa della pandemia le celebrazioni saranno ridotte e con un numero di partecipanti drasticamente limitato. Ma non mancano le iniziative. Tra queste, la nutrita staffetta social organizzata dall’associazione Riviera al Fronte di Dolo sulla sua pagina Facebook e sul canale Youtube.
Tra sabato 7 e domenica 8 novembre saranno infatti proposti oltre 80 filmati prodotti da sindaci, rappresentanti diplomatici, appassionati di storia locale, studenti, artisti, musicisti e giornalisti, oltre che dalle stesse forze armate. Il tutto per raccontare al meglio la storia della Grande Guerra e con l’obiettivo di provocare riflessioni, critiche e curiosità. Non mancherà un focus sul nostro territorio e sui suoi protagonisti, dando risalto ai ricordi di famiglia raccolti dall’associazione in oltre sei anni di lavoro.
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Venezia si spopola, le aziende chiudono
In questo lungo viaggio ideale, non può mancare uno sguardo su Venezia e l’area metropolitana.
La Guerra scoppiata nel 1914 aveva mandato in depressione tutto il territorio veneziano e il suo tessuto industriale. Il porto aveva ormai ceduto la sua centralità a causa della perdita delle merci dall’estero e delle materie prime per far funzionare le industrie. Questa situazione comportò un aumento della disoccupazione e dell’inflazione. Nella primavera del 1915 le donne scesero in piazza contro il carovita e il timore, diventato purtroppo realtà il 24 maggio, della partenza dei mariti e dei figli per il fronte.
La donna stava diventando punto di riferimento in moltissime situazioni della vita quotidiana, inaugurando la prima vera emancipazione generale femminile della storia d’Italia.
I bombardamenti, i combattimenti, la Spagnola…
Venezia era minacciata dalle bombe sganciate dagli aerei austriaci che la colpirono più volte nel corso del conflitto. È così che, oltre alla guerra con le armi, iniziò quella di organizzazione a difesa del patrimonio artistico di Venezia. La “Belle Arti” scese in campo per salvaguardare Piazza San Marco e i suoi preziosi simboli.
Dopo Caporetto la guerra arrivò in casa: soldati e profughi si riversarono al di qua del Piave; San Donà di Piave fu martirizzata; si combatté alle foci del Fiume Sacro alla Patria; i veneziani scapparono dalla città verso l’Italia centrale. Le preziose ville della Riviera del Brenta furono requisite per allestire ospedali da campo. Arrivò la Spagnola, pandemia che decimò militari e civili senza distinzioni.
L’armistizio del 4 Novembre a Villa Giusti
Il 3 novembre 1918, a Villa Giusti a sud di Padova, fu firmato l’armistizio, entrato in vigore il giorno dopo.
Le campane delle chiese, silenziate per tutta la durata del conflitto, tornarono a suonare annunciando la vittoria. Ma la guerra era costata la vita a 650 mila uomini (e le cifre non sono ancora confermate a oltre un secolo di distanza), aveva lasciato un milione tra feriti e invalidi permanenti e un territorio devastato e depredato.
Irredentismo e interventismo. Il ruolo degli atleti a Venezia
Anche lo sport veneziano contribuì allo sforzo bellico con il suo triste tributo di sangue.
Una ricerca di Ivan B. Zabeo, autore di Dolesi al Fronte. La Prima Guerra Mondiale – edito Casa Editrice Mazzanti – fa partire tutto dalla Misericordia.
La storica palestra dove gli atleti della Reyer, ancor prima della sezione di pallacanestro, si allenavano e allo stesso tempo vedevano passare importanti figure di spicco dell’irredentismo e dell’interventismo.
Convinti a combattere per la Patria
Nel dicembre 1914 Cesare Battisti vi tenne una conferenza organizzata dal direttore del Gazzettino per convincere l’opinione pubblica sull’importanza dell’interventismo italiano per riportare alla madrepatria Trento e Trieste. Traccia dell’incontro è presente sulla facciata della Misericordia, dove è incastonata una targa marmorea.
Molto probabilmente a quell’incontro hanno partecipato tanti giovani ginnasti, schermidori, pugili e atleti, oltre a curiosi e alle autorità cittadine e dirigenziali della Reyer.
Di sicuro vi partecipò il conte Brandolino Brandolini d’Adda, all’epoca deputato e presidente della Costantino Reyer, arruolatosi come volontario automobilista con il grado di sottotenente.
Lui e altri, periti nel corso del conflitto, sono ricordati da una lapide appesa al piano terra della Misericordia.
Il ricordo dei giovani della Reyer in guerra
Brandolini d’Adda morì ferito da un proiettile d’artiglieria nemica sul torrente Posina, nel Vicentino, mentre faceva evacuare alcune compagnie della Brigata Bisagno.
Era il 28 giugno 1916 e fu successivamente insignito della Medaglia d’Argento al Valor Militare. Quasi tutti gli atleti citati nella tavola della Misericordia sono insigniti della stessa onorificenza.
Gli atleti caduti sul campo
In ordine cronologico: il capitano del 3° Reggimento Fanteria, Brigata Piemonte, Attilio Soave, classe 1888, ucciso sul Monte San Michele il 21 ottobre 1915 nel corso della III battaglia dell’Isonzo mentre stava facendo brillare i reticolati; il capitano granatiere di Sardegna Paolo Stivanello-Gussoni, nato nel 1889, morto per le gravi ferite riportate l’8 agosto 1916, all’inizio della VI battaglia dell’Isonzo per la conquista di Gorizia, sul Monte San Michele mentre difendeva la posizione conquistata il giorno prima; il fratello maggiore Giorgio Stivanello-Gussoni , del 1888, era nell’aeronautica, 121^ squadriglia, precipitato il 4 ottobre 1918 dal cielo di Castelgomberto dopo aver diretto il tiro delle artiglierie italiane.
Altri decorati sono Edoardo Velo, classe 1896, tenente nella stessa squadriglia di Stivanello-Gussoni, precipitato su Asiago colpito a morte dal tiro delle mitragliatrici il 7 dicembre 1917; Paolo Ancona, sottotenente dell’81° Fanteria, Brigata Torino, colpito alla testa da una scheggia di granata sul Piave il 22 giugno 1918.
Infine, il primo caduto, l’alpino Amedeo Soave, sottotenente del 7° Reggimento, ucciso il 7 luglio 1915 sulle Tre Cime di Lavaredo. Qualche giorno dopo, il 19 luglio, morì sul Monte Carnizza un altro alpino, il sottotenente Giovanni Colussi, di 23 anni. Non mancano i soldati deceduti per malattia in prigionia: l’8 giugno 1918 spirò il geniere del 2° Reggimento Emilio Fontanella, classe 1886, catturato dal nemico nel corso della ritirata di Caporetto; il fante marchigiano Mariano Giri il 26 marzo 1918. L’ultimo della triste lista è il sergente del 7° Alpini Silvio Rota, deceduto a guerra finita il 6 dicembre 1918 ma ritenuto ancora caduto di guerra.