L’Italia contemporanea, libera e democratica, trova fondamento sulla Resistenza.
Il 25 Aprile, anniversario dell’insurrezione generale contro l’occupazione nazifascista, in tutto il paese si celebrano le conquiste che ci consentono di essere i cittadini di oggi. È un ricordo purtroppo che deve fare i conti con la pandemia ancora presente: non potendo realizzare manifestazioni pubbliche, il grosso delle celebrazioni avverrà online o con momenti particolari.
Le iniziative in ricordo della liberazione
Nel comune di Venezia, per esempio, nel corso della sera di domenica, le facciate dei luoghi istituzionali, Ca’ Farsetti, Ca’ Loredan e la Torre civica di Mestre, saranno illuminate con il verde, il bianco e il rosso del Tricolore italiano proiettati dai led luminosi.
In presenza, la deposizione delle corone d’alloro su due luoghi simbolo per la storia della Resistenza cittadina: il Monumento alla Partigiana a Venezia e la lapide ai Caduti davanti il Municipio di Mestre.
A Milano, città che aveva proclamato l’insurrezione generale contro l’occupazione nazifascista, l’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia sistemerà un fiore ai piedi delle 470 lapidi della città a memoria della guerra di Liberazione.
A Genova, altra città simbolo della resistenza, l’Archivio di Stato propone un viaggio online di riscoperta dei fatti storici del periodo attraverso lo studio delle fonti storiche in esso contenute.
Bologna, che prima di ogni altra grande città del Nord aveva respirato la libertà dopo l’ingresso degli Alleati il 21 aprile, ricorda il 76° con l’installazione pittorica “Ciò che resiste”: in ognuna delle 12 porte della città verrà posto un ritratto di un partigiano o di una staffetta, affiancato ognuno da uno dei primi 12 articoli della Costituzione. Museo diffuso che resterà aperto fino alla Festa della Repubblica del 2 giugno e che domenica 25 aprile potrà essere visitato virtualmente sul canale Youtube del Comune di Bologna.
Il Polo del ‘900 di Torino, invece, organizza una serie di meeting social già avviati il 15 aprile e che termineranno il giorno 29, inclusa una staffetta della memoria. Quella che Riviera al Fronte, associazione di Dolo, aveva inaugurato l’anno scorso nominandola Staffetta della Liberazione, appuntamento che si rinnova quest’anno con interventi di interesse storico sia in campo locale che nazionale.
La guerra di Liberazione: il riscatto di un popolo
Il movimento partigiano ha visto una grande partecipazione di popolo: non hanno combattuto per la libertà solo quelli che hanno imbracciato il fucile o il mitra per combattere il nazifascismo, ma anche quei 600 mila militari che, catturati dai tedeschi dopo l’8 settembre, avevano detto no all’adesione alla neonata Repubblica Sociale di Mussolini. E’ stata anche la resistenza di chi aveva disubbidito alla chiamata del Bando Graziani, diventando automaticamente un renitente alla leva condannato a morte. La guerra di liberazione è stato un momento di riscatto dopo anni di fascismo e dopo l’onta delle Leggi Razziali del 1938. È stata la guerra in cui hanno lottato, fianco a fianco, uomini e donne.
Queste ultime che avevano conquistato finalmente il diritto sul campo di partecipare in massa al referendum istituzionale del 2 giugno. È stata una lotta al nazifascismo espressa da moltissime forze politiche: non solo quelle socialista e comunista, ma anche i repubblicani e i liberali. È stata soprattutto la liberazione voluta dagli umili, da coloro che hanno combattuto per un ideale e che, dopo la guerra, avevano deciso di proseguire la loro vita normalmente. Tutti coloro che hanno lottato e sofferto sulle montagne e sulle pianure d’Italia contro i tiranni sono considerare i padri e le madri della Repubblica. E Francesco Petrin, un partigiano veneziano del Partito Liberale, è uno di questi.
Francesco Petrin: la Libertà prima di tutto
La figura di Francesco Petrin non è molto nota. Eppure, è stata una figura di spicco per l’Italia postbellica.
Per il territorio veneziano ha intrattenuto relazioni con Ferruccio Parri e altri ministri del Governo. Il Partito Liberale lo ha candidato per entrare nell’Assemblea Costituente e ha ricevuto diverse onorificenze: un certificato degli Alleati che lo ringraziava per l’aiuto concesso ai soldati, permettendo loro di fuggire e di evitare la cattura da parte del nemico e il conferimento del titolo di Commendatore dell’Ordine della Corona d’Italia da parte di Umberto II, il “Re di Maggio”.
Francesco Petrin, di Santa maria di Sala (Venezia), era un liberale.
Di famiglia benestante (1906 – 1980), ha conseguito il diploma di Liceo Classico, dov’è iniziata la sua attività antifascista. Frequentò la facoltà di Lettere e Filosofia all’Università Gregoriana di Roma e dalla fine degli anni Trenta ha vissuto con la moglie Maria a Mellaredo, frazione di Pianiga (Venezia)- Da questa unione sono nati ben nove figli. La primogenita porta il nome di Libertas.
«Mi pareva negli anni passati aver compreso che il popolo italiano prima di tutto difettasse del senso della libertà – spiegava nel 1945 Francesco Petrin dalle colonne del Gazzettino-. Perciò, quando nel 1939 nacque mia figlia, le imposi il nome “Libertas”.
Il medesimo nome che poi ha dato alla sua “creatura politica”: la scuola media privata da lui fondata a Santa Maria di Sala, sempre nel 1939, visto il divieto di insegnamento nelle scuole pubbliche. L’obiettivo dell’istituto era quello di avviare una campagna antifascista e tra i suoi studenti, nel corso della guerra e in particolare dopo l’8 settembre, alcuni hanno rappresentato un aiuto fondamentale alla causa della Resistenza.
Gli arresti e l’impegno per aiutare chi era in pericolo
Quando l’Italia entrò nella Seconda Guerra Mondiale, anche il prof. Petrin fu chiamato alle armi. Partì per Trieste, dove riuscì ad accrescere la sua rete antifascista nei bar locali coinvolgendo persone di diversi ceti e professioni. Nel novembre 1941 fu arrestato per la prima volta: nel bel mezzo della piazza di Pianiga ebbe il coraggio di urlare che la Germania avrebbe perduto la guerra e che l’Italia avrebbe dovuto abbandonare l’alleanza per salvarsi. Restò in carcere a Dolo per circa tre mesi, dal 19 novembre 1941 al 29 gennaio 1942.
Dopo la caduta di Mussolini, il 25 luglio 1943, Libertas diventò una struttura importante per aiutare i militari alleati evasi dai campi di prigionia, oppure recuperati dopo atterraggi di fortuna. L’obiettivo consisteva nel portarli in Svizzera o di ricongiungerli al loro esercito. Libertas aiutò anche diversi ebrei a evitare la cattura e la deportazione dei lager.
I tradimenti
Il 3 marzo 1944 Francesco Petrin fu arrestato a seguito del tradimento di uno dei ragazzi che stava proteggendo. La prigionia durò quaranta giorni. Rimesso in libertà, nel maggio 1944 fu arrestato ancora una volta. Altri quaranta giorni di prigionia tra le carceri di Padova e di Venezia: «Subii un terribile interrogatorio da parte della Gestapo presso una villetta sita in Prato della Valle. Successivamente fui trasferito ai Paolotti e in seguito alle carceri di Santa Maria Maggiore a Venezia. Poi venni rilasciato».
Sul finire del 1944, con l’arrivo a Padova del Maggiore Mario Carità e della sua famigerata banda di torturatori senza scrupoli, la resistenza tra il Padovano e il Veneziano visse giorni tremendi. La brigata cattolica Guido Negri, di cui Petrin faceva parte, fu completamente annientata dagli arresti e dalla fuga dei suoi componenti. Petrin venne nuovamente tradito da un collaboratore, che lo segnalò come capo di una società che proteggeva i prigionieri politici e come capo partigiano. Era il 6 gennaio 1945 quando le Brigate Nere arrivarono nella sua casa di Mellaredo per catturarlo: in fuga, fu colpito da colpo di arma da fuoco e ferito gravemente. Riuscì comunque a fuggire, riparando a Mogliano Veneto, dove ricevette le necessarie cure in casa del cugino della moglie. Su di lui fu messa un’ingente taglia.
Il ritorno al paese che non conobbe vendette
Francesco Petrin riapparve a Pianiga solo negli ultimi giorni della guerra come componente di spicco del Comitato di Liberazione Nazionale locale e prense possesso del Municipio, diventando così il primo Sindaco, con i tedeschi e i fascisti ancora presenti in paese.
Il giorno dopo, domenica 29 aprile, Pianiga fu liberata dalle forze angloamericane. Le campane suonarono a festa e per il centro del paese transitarono le forze tedesche e fasciste prigioniere. Nello stesso pomeriggio, Petrin proclamò la fine della guerra, ringraziò i liberatori e tutti gli italiani che avevano combattuto per il riscatto del paese. Il suo compito rimaneva quello di assicurare alla giustizia i fascisti rimasti ancora a piede libero. Lo fece evitando di alimentare una spirale di odio capace di provocare ulteriore dolore e spargimento di sangue. È anche grazie a lui se non ci furono vendette. Petrin fu riconosciuto Capo di Stato maggiore Gr.Divisioni del Popolo Zona Padova, equivalente al grado di Capitano.
Al referendum del 2 giugno Petrin non fu eletto ma grazie al suo contributo resta a tutti gli effetti uno dei Padri della Repubblica.
Ivan B. Zabeo
Complimenti a Ivan Zabeo per l’energia e l’impegno profuso nel far conoscere con questo articolo ed altre iniziative agli ignari e alle nuove generazioni le attività partigiane di mio padre. Grazie per la chiarezza e precisione